GRAN BRETAGNA, ECCO IL BAR CHE SERVE PRODOTTI “DI SCARTO”

GRAN BRETAGNA, ECCO IL BAR CHE SERVE PRODOTTI “DI SCARTO”

14 Agosto, 2017

Il primo era stato aperto a Leeds, dalla charity Real Junk Food Project. Un successo, al punto che ora ce ne sono decine, in tutto il Regno Unito. E non è il solo progetto, che utilizza ciò che andrebbe altrimenti buttato via.

In Gran Bretagna la via per combattere la crisi passa dagli scarti dei supermercati. Nel senso che i prodotti quasi in scadenza o che non si possono vendere perché sono schiacciati o con l’etichetta stampata male, vengono recuperati e distribuiti alle famiglie in difficoltà in negozi e punti vendita nati per questo scopo. Tanto che ormai ci sono diverse realtà, che operano nel settore.

Una delle prime è stata la charity chiamata Real Junk Food Project e fondata da Adam Smith a Leeds. Convinto che lo spreco di cibo sia quasi offensivo, in un Paese che ha un’alta percentuale di povertà nascosta, Smith ha creato un caffè dove serve bevande e cibi preparati con prodotti “scartati” dai supermercati e chiede ai clienti di pagare quanto possono e si sentono.Iniziato come una sfida, il suo progetto conta ora decine di caffè in Gran Bretagna e diversi altri in via di apertura in giro per il mondo.

Ma non basta. Dato il successo, Mr Smith ha aperto anche un paio di negozi in cui vende a prezzi convenienti questi cibi destinati al macero. Un vaso di sugo costa 50 centesimi, ma ci sono prodotti a 90, a 50 a 40 centesimi. Nulla costa più di una sterlina e nei negozi arrivano in media tra i 500 e i mille visitatori al giorno. Non solo homeless o poveri, anche madri single che faticano ad arrivare a fine mese o famiglie con tanti figli, che non riescono a chiudere il bilancio familiare nemmeno con l’aiuto dei benefit del Governo. I negozi come quello di Smith sono la loro salvezza. Anche perché il cibo rifiutato dai supermercati è mediamente di buona qualità. Sugli scaffali dei caffè e dei negozi aperti da Real Junk Food Project finiscono prodotti vicini alla scadenza. Pacchi di biscotti sbriciolati, torte confezionate che sono state leggermente schiacchiate nel trasporto, frutta e verdura in sacchetti di plastica che appaiono buoni ma hanno la data di scadenza quasi superata, scatolette e lattine di prodotti con scritte in lingue straniere o con l’etichetta mezza cancellata, pane, brioche e pizze del giorno prima. A volte i collaboratori di Smith devono fare più viaggi tra i magazzini di uno stesso supermercato e il loro. Il risultato sono scaffali sempre pieni di cibo a prezzo ridotto, che vengono incontro ai bisogni dei meno abbienti.

Un principio analogo a quello del negozio Niftie’s di Dover, creato da Nathan Richards, che ha avviato una società non profit iniziando a vendere davanti a casa quello che recuperava dai supermercati. A volte i prodotti vengono donati, altre volte li compera a prezzi di superingrosso e poi li rimette in vendita senza particolari maggiorazioni. La sua maggiore soddisfazione è quella di aiutare le famiglie in difficoltà, dato che l’idea che qualcuno rimanga senza pranzo o cena gli pare inaccettabile in un Paese evoluto e ricco come il Regno Unito. Lo stesso principio che ha animato la 22enne Charlotte Danks, che ha aperto in Cornovaglia due negozi sotto il nome di Affordable Food, cioè cibo a buon mercato. Recupera il cibo di scarto dei supermercati e lo mette a disposizione della gente a 25 centesimi per pezzo. I negozi sono essenziali, ma la gente sin dal primo giorno li prende d’assalto, facendosi anche qualche miglio a piedi o in bus pur di avere scorte a un prezzo ragionevole. La giovane imprenditrice sociale riceve almeno un ringraziamento ufficiale al giorno dai suoi clienti e si sente felice.

L’idea chiave è distribuire ai poveri ciò che altrimenti andrebbe sprecato. Secondo alcune stime in Gran Bretagna supermercati e negozi sprecano in media 1,9 milioni di tonnellate di cibo all’anno, ma con questa nuova tendenza buona parte viene recuperata. Come sa bene John Marren, che quarant’anni fa ha fondato la Company Shop, che ha aperto discount con i prodotti di recupero in tutto il Paese. Luoghi destinati a creare reddito, cui di recente, per via della crisi, si sono affiancati “community shop” con prezzi ancora pià bassi e obiettivi sociali, collocati nelle aree più povere delle grandi città. Un movimento che sta cambiando il volto del Paese e lavorando per un nuovo equilibrio. Che si possa imitare?

Di Caterina Belloni